Archive for July, 2010

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015 2002-08 Normandie, Pointe du Hoc.

July 25, 2010

Nell’estate del 2002 Pascale mi ha portato in Normandia. Gli zii George (morto l’anno scorso) e Giselle ci hanno ospitato nella loro casa a Vierville sur Mer, meglio conosciuta come Omaha Beach. George mi ha portato in giro in varie localitá, incluso il cimitero americano, che videro lo sbarco degli alleati la mattina dell’6 giugno, 1944. Pointe du Hoc é a circa 6 km ad ovest di Omaha Beach e la costa é frastagliate e ripida. Dopo lo sbarco gli Americani si trovarono a dovere risalire dei dirupi alti una trentina di metri e con il nemico che li martellava dall’alto. Ma su tutto questo sono stati scritti tanti libri di storia, ed io non ho bisogno d’aggiungere nulla.

Aggiungo che quando ho visitato il cimitero americano di Omaha Beach ed ho visto la distesa di croci bianche così ben allineate, ne ho notata una in particolare: quella di Anthony De Santis di Newton, Massachusetts. Io conosco molti De Santis di Newton, son ciociari. Ma come è finito il povero Anthony nel giugno del ’44 su quella spiaggia in Normandia? Non so la sua storia, so solo che lui c’è rimasto, ed io mi son commosso ed ho pianto per uno che non ho mai conosciuto, e non solo per lui, ma anche per tutti gli altri, anche loro sconosciuti e di tutti gli eserciti.

PS: questa è un’immagine dell’ultimo rullino (la pellicola) che ho scattato e sviluppato. Poi ho stampato le fotografie nella camera oscura, le fine d’un’epoca, le ultime.

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015 2010-05-30 Montreal, la donna tatuata

July 16, 2010

La donna tatuata

Quello che è importante in quest’immagine non è solo il tatuaggio della ragazza e del gatto che fanno capolino ma piuttosto l’anello della chiusura lampo.

Ma andiamo per ordine, di questo ne riparleró più avanti.

Il primo tatuaggio che ho visto era una piccola serpolina sbiadita sul braccio sinistro d’uno ch’aveva una stazione di servizio verso San Lazzero. Mi raccontó che l’aveva fatto quando era in un campo di concentramento in Germania. Mi sembrava strano e misterioso.

In casa si parlava male non dei tatuaggi, ma delle persone che li avevano, marinai ubriachi e galeotti. Il gran successo del libro “Papillon” e del suo autore, che per caso vidi nel 1970 in una libreria a Piccadilly con la camicia sbottonata per mostrare la famosa farfalla sul petto, ne era la prova. Lui era stato alla Cayenne.

In una spiaggia a Key West all’inizio degli anni 80 capii che i tempi stavano cambiando: infatti vidi un’altra farfalla tatuata, questa volta s’era posata sulla spalla d’una bella donna. Mi piaceva, mi piaceva molto. Ma chi era quella donna?

Adesso sono comuni. Mia madre sarebbe inorridita. La volta che per scherzo mi appiccicai sul petto uno di quelli che poi si posson lavar via, ebbe una reazione così violenta, che pensavo le venisse un attacco di cuore. Le chiesi scusa e mi lavai.

Se vedo una donna tatuata penso spesso ai tatuaggi nascosti, a quelli che solo gli eletti avranno il piacere di scoprire. Non ho esperienze nel campo, son d’un’altra generazione, eufemismo per non dir vecchio, ma con l’etá non passa l’appetito.

Ecco perchè l’anello di quella chiusura lampo mi affascina, è la chiave per scoprire il resto che io non vedró mai e che mi sembra difficile addirittura immaginare. Forse il tatuaggio è il ritratto della ragazza stessa, vuol esser sicura che l’amante, il signore dell’anello, non si scordi di lei anche in quei momenti d’intimitá in cui lui vede solo la schiena.

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014 2009-02-28 New York, Atlas at Rockefeller Center

July 15, 2010
Atlas ar Rockefeller Center

Non ricordo la prima volta che l’ho visto, forse a gennaio del 1971, la prima volta che sono andato a New York. Ma so che m’é sempre piaciuto.

Questo monumento di Atlante di Lee Lawre e Rene Chambellan al Rockeffer Center lungo la 5th Avenue, proprio di fronte alla cattedrale di St. Patrick, fu eretto nel 1936. Mi sembra d’aver letto da qualche parte che pesa più di due tonnellate ed un tipico esempio dell’Art Deco. Le sue accentuate forme mascoline danno il senso d’enorme vigore.

Per ragioni di lavoro sono andato a New York spesso e ci son passato davanti tante volte. Quando poi sono andato a lavorare a Manhattan il mio ufficio era proprio li vicino, a solo due isolati.

L’ho fotografato da ogni angolo, con varie macchine fotografica e con obbiettivi differenti. Ho aspettato che la luce cambiasse per ottenere vari effetti. Ho fatto foto in bianco e nero, diapositive ed infine digitali come questa. Quando ho deciso di pubblicare una foto d’Atlante ho avuto il problema della scelta, ne ho troppe. Ho sempre pensato che quelle con le due guglie di St. Patrick nello sfondo diano una prospettiva più interessante e sopratutto forte.

…e poi un giorno, molt’anni dopo, Arturo decise che New York aveva bisogno d’un Toro.

http://biturgus.wordpress.com/30-m%e2%80%99arcordo-americano%e2%80%a6%e2%80%a6-%e2%80%98l-toro-d%e2%80%99arturo/

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014 1962-9 Sansepolcro, lavori in Via Matteotti.

July 13, 2010

Sansepolcro, lavori in Via Matteotti

Mi sembra di ricordare che prima di questo gran progetto ce ne furono altri due di cui fui testimone.  Rifecero la pavimentazione, di quella che era stata da poco ribattezzata via Matteotti, verso la fine degli anni  ’40. Questa prima si chiamava Via Roma, lo so perché ci son nato .

Il primo non duró molto. Avevano usato delle piccole mattonelle nerastre che sembrava fossero una misture di catrame compresso, disposte a spina di pesce, si dice così? Poi vennero i “sanpietrini” di porfido ben disposti a semicerchio. Non so quello che successe, ma anche questi non durarono molto. Forse dovendo rifare le fognature fu deciso d’usare per la pavimentazione dei gran lastroni di pietra, di certo più adatti allo stile del Duomo e degli altri edifici circostanti.

E fu un gran progetto, che andó per le lunghe e che i Borghesi seguivano giorno per giorno, attentamente e di certo criticando. Nella foto si riconosce il Blasi ch’aveva una bottega di mercerie per la Via Maestra all’angolo di via Giovanni Buitoni. Aveva una moglie virago che sembrava dominar tutto e forse per questo quel giorno ando’ a supervisionare i lavori.

Nella foto si vede l’Arco della Pesa con ancora tutto l’edificio sovrastante. La finestra sulla sinistra in alto ha le sbarre. Quand’ero piccolo mi dicevano fosse una cella dove venivano impragionati i cattivi prima d’essere spediti alla prigine d’Arezzo. Anche via della Firenzuola aveva un arco, ma qui non si puó vedere, si vede invece quello di via della Castellina.

Il caffé sulla sinistra era quello di Tonino Valori.

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014 2008-07-17 Giordania, Amman, direzione Mecca.

July 12, 2010

Amman, direzione Mecca

Nel cassetto del comodino d’ogni hotel negli Stati Uniti c’é una copia della Bibbia. In qualche rara occasione ho trovato anche the Book of Mormon (Mormon era un angelo che ha rivelato un ulteriore vangelo). Non ho mai visto una copia del Qu’ran.

Uno dei comandamenti che un devoto mussulmano deve seguire e quello di pregare cinque volte (salaat) al giorno nella direzione della Mecca e questo regola in maniera radicale la vita di interi paesi, tutto si ferma. Il mio primo giorno in Mali fui sorpreso quando il mio autista fermò la macchina all’improvviso. Non disse nulla, scese e dal baule prese un tappetino ed una bottiglia d’acqua; dopo le rituali abluzioni si mise a pregare sul lato della strada nella direzione della Mecca, in tasca aveva una bussola.

Anche l’amico turco d’Andrea, quando questi studiava a Salem State College, aveva sempre la bussola ed un tappetino in borsa. Un giorno a casa mia Andrea mi fermò appena in tempo mentre stavo per andare nella sala da pranzo, c’era il turco che pregava e non dovevo disturbarlo.

Paese che vai, usanza che trovi.

In un hotel ad Alessandria d’Egitto, c’era una gran freccia sulla scrivania che indicava dov’era Mecca, mentre in questo ad Amman era più discretamente locata nel cassetto del comodino, di certo molto più economico d’una Bibbia.

La tentazione è stata grande!

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014 1981-09 Sansepolcro, Celestino con la chiave.

July 11, 2010
Celestino con la chiave

Celestino (Ghignoni) non ha bisogno del cognome, infatti anch’io, che lo conosco da sempre, ho avuto un momento d’incertezza ed ho dovuto chiedere. E questo per me é un gran complimento al personaggio.

In questa immagine sorridente colta mentre andava al lavoro ha il giornale, quasi di sicuro l’Unitá, ed in bella mostra la chiave con cui avrebbe aperto il museo. Gente da tutto il mondo sarebbe poi venuta a vedere il suo Piero. Era come se venissero ad ammirare un quadro in casa sua. Ed io ne ho la prova.

Alcuni anni dopo questa foto, forse nel 1988, durante una mia permanenza a Verona, fui invitato con altri a cena da un amico architetto. Ad un certo punto questi chiese l’attenzione di tutti e cominciò:

“Sappiate che Fausto é una persona importante, ed in particolare a Sansepolcro.

Alcune settimane fa una mattina sono arrivato al suo paese e guarda caso era il Primo Maggio. Ho scoperto che il Museo Comunale era chiuso, non avrei potuto vedere le opere di Piero della Francesca. Sconsolato mi sono avviato verso il Duomo e ho poi deciso di prendere un cappuccino al caffé di fronte.

Parlando col barrista ho menzionato il fatto del museo chiuso e che avrei dovuto ammettera al mio amico Fausto Braganti che ancora una volta non avevo visto l’opere di Piero. Incommesurabile lacuna nella cultura d’un architetto.

Un signore seduto ad un tavolino allora mi ha chiesto: <<Ma lei é un amico di Fausto Braganti? Quello che sta in America?>> alla mia risposta affermativa lui ha aggiunto: <<Aspetti qui, vado a casa a prendere la chiave. Torno subito.>>

É ricomparso dopo poco con la magica chiave ed io ho avuto una visita privata del Museo. Piero era tutto e solo per me. Quando ho chiesto di pagare il biglietto lui gentilissimo mi ha risposto: <<Faccia come se l’avessi invitato a casa mia, non si paga biglietto.>> ecco il potere di Fausto, fa aprire un museo chiuso anche da Baston! E pensate che maleducato sono stato io, non gli ho chiesto neanche come si chiamava! ”

Ero sorpreso ed allo stesso tempo contento della storia ed ho aggiunto:

“Tu non sai il nome, ora te lo dico io: di certo era Celestino.”

Ed ora concludo: grazie Celestino, ma che bella figura m’hai fatto fare!

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013 2007-10 Lodi, grana lodigiano.

July 10, 2010

Lodi, grana lodigiano

Paolo Massi avrebbe mostrato tutto il suo disgusto nel vedere questa foto. A Paolo non piaceva il formaggio, anzi sarebbe meglio dire che l’odiava, lo faceva star male, ed io, suo compagno di camera a Firenze, avevo sempre un bel pezzo di pecorino. Povero Paolo, soffriva in silenzio.

Avevo visto magazzini pieni di parmigiano solo in fotografia o in qualche filmato, ma quando per la prima volta l’ho visto dal vero entrando in questo magazzino alla periferia di Lodi é stato uno spettacolo inaspettato. Non potevo credere ci potesse esser tanto formaggio in un solo luogo. Infatti ci saranno stati almeno una quarantina di corridoi come questo tutti ben allineati.

Potevo solo immaginare una mangiata pantagruelica.

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013 2002-10-12 Boston, Zukim bridge

July 9, 2010

Boston, Zakim bridge

Boston é una cittá antica, per l’America. Una baia, abbastanza protetta lungo la costa settentrionale di quelli che oggi sono gli Stati Uniti, era ideale per impiantare un insediamento di primi coloni all’inizio del seicento. Il mare pescosissimo di merluzzi e la libertá religiosa furono i presupposti per sviluppare una prospera colonia.

Il piano urbanistico del centro di Boston é in gran parte quello originale, quando per le strade c’erano solo carrozze e cavalli e nel porto velieri. Gli ingorghi di traffico posson esser lunghi come ere geologiche, trovare un parcheggio viene considerato un miracolo, da portar un ex-voto al santuario.

Negli anni quaranta (credo) costruirono una sopraelevata di scorrimento che taglió la cittá in due, orribile dal punto di vista estetico, distruggendo interi quartieri.

Poi venne il progetto del Big Dig (il grande buco). Un gran tunnel che avrebbe traversato la cittá, eliminando la vecchia sovraelevata, allacciandosi a vari ponti ed un altro tunnel, giá esistente, che passa sotto il porto: un progetto di dimenzioni faraoniche che é durato almeno dieci anni. Durante i lavori il caos del traffico é aumentato ed il parcheggio ancora più problematico.

Fra i vari lavori c’é stata la costruzione d’un nuovo ponte ad un solo pilone portante, che permette l’accesso al gran tunnel venendo da nord. Una domenica d’ottobre piena di sole aprirono il ponte al pubblico, volevan far veder i progressi dei lavori.  Circa 300,000 persone arrivarono per fare una passeggiata sotto il gran pilone della fato. Oggi sarebbe impossibile farla, senza bloccare l’intero traffico di Boston.

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013 1989-07 Cannes, boucherie chevaline

July 8, 2010
Cannes, boucherie chevaline

A me la carne di cavallo non piace ed ho provato a mangiarla più d’una volta.

Quando ero piccolo a Sansepolcro, a Porta Romana, c’era una macelleria equina, credo fosse del Fabbriciani, ma in casa mia non si mangiava. Ricordo solo che dicevano che non era buona, anche se poi aggiungevano che faceva bene alla crescita dei bambini, ecco forse il perchè son rimasto basso.

La prima volta l’ho mangiata fu ad Arras, nel nord della Francia e non lo sapevo. Ero in un ristorante, una specie d’osteria pieno d’operai ed ero con il mio amico Massimo Carlotti. La carne era dura ed il sapore dolciastro, allora cappii che non era manzo. Ci provai altra volte, sempre in Francia. Solo l’ultima volta fu in Italia, a Pisa. E dopo quella esperienza decisi che non l’avrei più provato.

Quando ho cominciato a lavorare (1971) con Alitalia all’aeroporto di Boston scoprii che una volta alla settimana arrivava un B747 cargo dell’Air France che poi ripartiva pieno di carne di cavallo. Si, i francesi ne erano i grandi mangiatori.

Quando ho fatto questa foto nel 1989 nella parte vecchia di Cannes questa macelleria era chiusa  e, come si vede dalla vernice, era malandata. Credo che il consumo sia molto diminuito.

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013 1970-05-09 London, Vanessa Redgrave

July 7, 2010
Londra, Vanessa Redgrave

Agl’inizi di maggio del 1970, quando abitavo a Londra, le notizie della guerra nel Viet Nam continuavano ad esser sempre in prima pagina, ed in particolare quella delle incursioni in Cambodia: escalation!

A Kent State in Ohio ci fu una grande dimostrazione studentesca che finì tragicamente: ci furono 4 morti.

Il sabato successivo, 9 maggio, anche a Londra ci fu una una grand’adunata contro la guerra a Trafalgar Square. Da li partì il corteo con l’obbiettivo di raggiungere l’ambasciata degli Stati Uniti in Grosvenor Square. I dimostranti non violenti, gridavano slogan ed innalzavano bandiere e cartelli di protesta. Io volevo far fotografie e li ho seguiti

La piazza era piena di poliziotti, che convoglivano la marcia su un lato della piazza, opposto all’ambasciata. I poliziotti disarmati si tenevano sottobraccio formando una catena umana. Io mi ero posizionato con la macchina fotografica proprio dietro di loro ed osservavo il corteo scorrere. Ad un certo punto sono arrivati i compagni con la bandiera rossa della IV Intenazionale Socialista (troskisti). Ne riconobbi alcuni ch’avevo incontrato al Troubadour in Old Brompton Road. Ad un grido convenuto il gruppo si lanció repentino contro i poliziotti rompendo la barriera umana, proprio dov’ero io. Poi si son messi a correre verso l’ambasciata, un proprio e vero assalto, mentre io mi son messo da parte. D’improvviso da una strada laterale sortì una compagnia di poliziotti a cavalli che al trotto si diresse verso i dimostranti avvanzanti. Panico, fuggi, fuggi generale. I cavalli son grandi ed il rumore degli zoccoli sul selciato fa paura. Son diventato sottile come un’ostia schiaccaindomi contro un muro e l’ondata mi é passata vicinissima. Son rimasto nel territorio dei poliziotti e quando hanno cercato d’arrestarmi ho detto ch’ero un fotografo e loro ci hanno creduto. E pensare che proprio i quiei giorni entro l’ambasciata c’erano i miei incartamenti per emigrare negli US.

Mi allontanai e girando un angolo mi trovai davanti a Vanessa Redgrave; politicamente attiva, anche lei era venuta alla dimostrazione. Mi misi a parlare con lei della situazione, fu cordiale ed amichevole, e scattai questa foto.

Tanto tempo dopo, una diecina d’anni fa, mia figlia Tanya, lei é fotografa per davvero a New York, sapendo che avrebbe fatto un servizio su Vanesse Redgrave, andó a frugare fra le mie scatole e miracolosamente trovó questa foto. Il giorno dell’incontro le chiese di firmarla e di scrivere una dedica per me.

“E questa da dove vien fuori?” le chiese. Tanya, che conosceva la storia, gliela raccontó.

“Allora quel giorno c’era anche tuo padre!” e firmó soddisfatta.